COVID Nord & Sud: dove i sistemi di emergenza si sono dimostrati più efficaci?

Differenze profonde che hanno influenzato la gestione dell’emergenza COVID ed i relativi esiti tra i sistemi di emergenza sanitaria del nord e del sud Italia.

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L’emergenza coronavirus ha sicuramente messo in grave sofferenza i sistemi di risposta e di emergenza sanitaria del nord Italia e in particolare delle 2 regioni più colpite (Lombardia ed Emilia-Romagna ndr). Peraltro due sistemi che hanno una profonda differenza visto che in Lombardia è già attivo il NUE112 (Numero Unico Emergenza) mentre in Emilia-Romagna funziona attualmente il 118 con il modello di centrali c.d. ad area vasta ossia 3 Centrali Operative 118 sovraprovinciali.

Il NUE112 Lombardo pur dovendo sopportare una mole di richieste enorme, anche se con qualche difficoltà ha retto. Questo anche grazie ai sistemi di integrazione tecnologica di cui ho già scritto parlando dei numeri diffusi dal Ministero dell’Interno proprio sul NUE112 Lombardo (LEGGI).

L’emergenza coronavirus è caduta nello stesso periodo in cui si discute della riforma del sistema 118 e per questo qualcuno, non è chiaro se per ignoranza o per un tentativo deliberato di mistificazione, tenta di denigrare i modelli sopra citati paragonando i risultati nel contrasto all’emergenza con i risultati “ottenuti” dai sistemi del sud. Tutto probabilmente finalizzato ad avvalorare la propria tesi che sia come detto, per sincera convinzione o per puro opportunismo.

Volevo allora soffermarmi su quasto aspetto ovvero sulla differenza nella risposta dei sistemi di emergenza 112/118 tra nord e sud Italia partendo del presupposto che non condivido assolutamente la convinzione che “se fosse successo al sud sarebbe stato sicuramente un disastro“. Semplicemnte perchè non è successo al sud e queste affermazioni sono semplici ipotesi campate in aria e non suffragate in alcun modo.

Ed è proprio questo il punto che chi fa paragoni, volontariamente o non, nasconde. Perchè il giorno dopo all’annuncio del Presidente Conte a reti unificate di un caso accertato di COVID-19 e del tentativo di ricostruire i contatti del presunto paziente 1 (22 febbraio a.D. 2020), migliaia di persone che già avevano sintomi compatibili con COVID-19 come febbre e tosse secca, ma anche asintomatici che sospettavano un possibile contatto a rischio di Lombardia ed Emilia-Romagna presero d’assalto i numeri dell’emergenza. Nei giorni a seguire si scoprirà che una quota non trascurabile di questi aveva effettivamente contratto l’infezione e che quindi la ricerca del paziente 0 e il tentativo di circoscrivere un unico presunto focolaio era inutile.

In pratica al nord l’emergenza COVID aveva già ampiamente superato all’esordio, o più precisamente quando fu diagnosticato il primo caso ufficiale, la capacità dei sistemi territoriali di controllo e monitoraggio di tamponare i casi sospetti, di isolare e ricostruire la catena dei contagi. Cioè tutto quello che accade oggi quando qualcuno accusa i primi sintomi indipendentemente che abbia avuto un contatto con un caso di COVID o meno. Allora le indicazioni Ministeriali ritenevano casi sospetti le persone che erano state in uno dei 10 comuni classificati “zona rossa” il 21 febbraio o provenienti dalla Cina ma solo dalla provincia dell’Hubei ma il contagio era in realtà già dilagante ben oltre la zona rossa.

Quello che è successo al nord ha dato (per fortuna) un immenso vantaggio al sud. Nonostante i primi casi sospetti risalgano a pochi giorni dopo (il 25 febbraio a Palermo con l’attivazione di un cluster locale) erano facilmente individuabili visto dato che si trattava esclusivamente di persone provenienti da Lombardia o Emilia. Il sud ha avuto dalla sua parte il fattore tempo perchè quando nelle due aree colpite i contagiati erano già evidentemente numerosi, in quelle regioni c’è stato il tempo (seppure ridotto) di attrezzarsi e tamponare, isolare e costruire la catena dei contagi.

Ci si è riusciti perchè il 9 aprile in tutto il sud e isole si contavano 10.000 casi accertati mentre nella sola Lombardia si sfioravano i 30.000 ed è pacifico ritenere oggi che fossero in realtà molti di più. Proprio perchè, al di là di carenze o ritardi nello screening, era oggettivamente impossibile riuscire a tamponare tutte le persone con sintomi ed i loro contatti in tempo utile per contenere il contagio. Se ci siano o meno delle responsabilità, se qualcosa in questo aspetto non sia stato fatto come avrebbe dovuto ce lo dirà la magistratura ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Per questi motivi, sentire che le centrali operative di questa o quella regione del sud o i sistemi di emergenza territariali siano stati “più bravi” nel contrastare il virus e limitarne la diffusione fa sorridere perchè non sapremo mai (speriamo) se sarebbero stati più bravi, meno bravi o ugualmente bravi visto che la diffusione è scoppiata al nord ed è rimasta occulta a tempo indeterminato. Una situazione storica che per le caratteristiche non può essere paragonata. Il sud ha avuto un margine di tempo utile a prepararsi o comunque ad attivarsi per attenzionare le persone con sintomi ascrivibili a coronavirus. Si vuole paragonare l’operato di sistemi ritrovatisi improvvisamente ed inaspettatamente in una situazione di overcrowding relativamente ad una patologia di cui si conosceva poco o nulla, con sistemi che oltre ad avere avuto il tempo di prepararsi hanno potuto apprendere da ciò che succedeva altrove (errori compresi).

La bravura col senno di poi è comunque perfettamente in linea con la retorica populista di questi tempi che lavora mistificando la realtà per accreditare le proprie tesi. Questo oggi non scandalizza neppure e al massimo fa sorridere chi è dotato di un minimo di capacità critica. Quello che lascia basiti e che ciò avvenga da chi ostenta titoli e rappresentatività nel settore e che venga utilizzato come dimostrazione che un sistema sia meglio di un altro.

Se questo parte da presupposti errati, trattandosi della sicurezza e della salute pubblica, si può arrivare a considerare pericolose queste affermazioni e le eventuali ripercussioni che le stesse potrebbero avere (se recepite) in un processo di riforma del settore che dovrebbe godere del supporto più ampio, di una pluralità di contributi basati su esperienze elevate ma differenti al fine di poter valutare nel modo più oggettivo possibile la bontà di un sistema od organizzazione rispetto a un’altra.

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